Il progetto di creazione di invasi capaci di raccogliere acqua piovana per irrigare i terreni coltivati si scontra con la fragilità idrogeologica del Molise e le critiche di chi teme un’alterazione del ciclo naturale delle risorse idriche
L’aridità dei terreni legata al clima torrido dell’estate e alle scarse precipitazioni dei mesi invernali ha messo in luce il ruolo vitale dell’acqua per le attività agricole. Penalizzate anche in Molise dall’aumento dei costi necessari all’irrigazione. Per affrontare questo problema i rappresentanti di Coldiretti e Associazione nazionale Consorzi di bonifica hanno lanciato un paio di anni fa un progetto volto a realizzare piccoli invasi in grado di raccogliere l’acqua piovana e convogliarla verso i campi coltivati.
La complessità del “Piano laghetti”
L’iniziativa, che contempla l’attivazione entro il 2030 di 10mila “laghetti” artificiali finalizzati a portare dall’11 al 30 per cento l’acqua caduta sul suolo italiano e riutilizzata e può contare su 880 milioni di euro del Piano di ripresa e resilienza legati al rinnovamento della rete idrica, fatica a prendere corpo con appena 223 bacini pronti a entrare in funzione nessuno dei quali in Molise. Realtà caratterizzata da fragilità e vincoli idrogeologici. L’acqua raccolta negli invasi e indirizzata verso le colture andrebbe poi analizzata, trattata ed eventualmente depurata nell’eventualità di contaminazioni.
I rischi per l’ambiente
Alla complessità degli interventi tecnologici si affiancano le critiche formulate da associazioni ecologiste e da alcuni studiosi di scienze agrarie, fautori di un’agricoltura a ridotto consumo idrico e convinti che il progetto di creazione di numerosi invasi artificiali possa alterare il ciclo naturale delle acque limitando l’alimentazione e la portata delle falde acquifere.
(Nel servizio l’intervista al docente di Scienze e tecnologie agrarie dell’Università del Molise Claudio Colombo)
Fonte: TGR RaiNews
